la Cucina Amalfitana si fonda su tre elementi:
IL TERRITORIO
Estremo. Che emerge dal mare con un andamento da merletto antico e svetta verso il cielo con le cime aguzze dei suoi monti.
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LA STAGIONALITA’
da queste parti la primavera è un anticipo dell’estate e l’autunno ne è una continuazione.
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LA TRADIZIONE
In Costa d’Amalfi la cucina è un cocktail irripetibile di prodotti unici e di virtuosi magisteri, le cui basi furono assemblate più di duemila anni fa nelle ville romane disseminate lungo la costa. Con il passare dei secoli Longobardi, Arabi, Angioini, Spagnoli, Borbone… contribuirono ad arricchirla, amplificando la rosa degli ingredienti e introducendo nuove e più raffinate preparazioni.
Si possono così individuare delle “tappe” ben precise, in questo un percorso virtuoso lungo millenni.
Una di queste la si può fissare negli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, quando la cucina amalfitana letteralmente “esplose” dando vita ad un caleidoscopio di “piatti spettacolari”, per deliziare i palati sopraffini dei protagonisti della Dolce Vita…
Per lo scialo degli illustri avventori vennero forgiati i succulenti “scialatielli” e impiegati ingredienti improbabili come il formaggio semi-raffermo e le anonime zucchine che, sulla ghiaia del Cantone, in onore del principe Caravita, alias “pupetto”, diedero vita ai deliziosi “Spaghetti alla Nerano”. Sulle tavole più esclusive fecero il loro ingresso trionfante monumentali fritture e zuppe di pesce “con il mare dentro”; per valorizzare le carni dei pelagici più delicati s’inventò la cottura in crosta di sale…
Maria Grazia a Nerano diviene una tappa obbligata per i gastronauti più esigenti. Così pure il “Pesce all’Acqua Pazza” della Buca di Bacco a Positano e i “Bucatini alla Caporalessa” di Maria D’Urso, cuoca del ristorante ‘O Capurale. Ad Amalfi diventano leggendari la “Genovese” della trattoria Da Gemma, e lo “Spaghetto al cartoccio” di Ciccio, cielo, mare e terra. Ad Atrani vengono creati il “Bocconotto” e il Sarchiapone …e, “addò Zì Pietro” a Vietri sul Mare, si andava per gustare lo “Spumone”….
Gli anni ’50 sono anche gli anni del boom economico. Dopo quelle esclusive avanguardie, quindi, esplose il turismo di massa. Per soddisfare l’appetito delle masse superficiali e sudaticcie la gastronomia sembrava destinata ad futuro inevitabile di banalizzazione… in qualche ristorante s’iniziò ad assistere al triste spettacolo di gnocchi e lasagne, penne al salmone e spaghetti con frutti di mare e pomodoro, rinforzati con panna e smistati per piatti della tradizione. Dei vini Costa d’Amalfi, poi, neppure a parlarne!
La salvezza arriva sulle gambe di chef “visionari”, che invertirono la tendenza e salvarono la Costiera da un destino “romagnolo”. Attraverso lo studio approfondito della storia e dei prodotti – unici – del territorio crearono le condizioni per un vero e proprio “rinascimento gastronomico” che coniugò tradizione e innovazione, e prese a sfornare “novità antichissime”. Rinacque, in questo modo, la “cucina della volpe pescatrice” ma, soprattutto, si affermò il principio che la tradizione è un MOVIMENTO, e che …
Solo dopo aver studiato, approfondito e rispettato
la tradizione, si ha il diritto di metterla da parte,
sempre però con la consapevolezza
che le siamo debitori, per lo meno,
d’aver contribuito a chiarirci le idee.
Naturalmente, se si resta ancorati al passato,
la vita che continua diventa vita che si ferma ma,
se ci serviamo della tradizione come d’un trampolino,
è ovvio che salteremo assai più in alto
(Eduardo De Filippo)
Le “invenzioni” degli anni ’50 e ‘60:
Bucatini alla Caporalessa – Maria d’Urso, ristorante O’Capurale, Positano
Scialatielli – Enrico Cosentino, La Caravella, Amalfi
Spaghetti al cartoccio – Salvatore Cavaliere, ristorante Ciccio, cielo mare e terra, Amalfi
Spumone – Pietro Cretella – Bar Centrale, Vietri sul Mare
Bocconotto – Matteo Cretella – Pasticceria Duomo, Amalfi
Sarchiapone – don Vittorio Proto, insieme a Orlando Buonocore e sua moglie Luisa, Atrani
Spaghetti alla Nerano – Maria Grazia Ristorante Maria grazia, Nerano
Zuppa di Pesce di Pipone – taverna di Masaniello, Amalfi
Genovese – Trattaoria Da Gemma, Amalfi
Per certi versi potremmo inserire in questo elenco anche gli “Ndunderi” Minoresi che vennero riportati in auge da Ezio Falcone il quale, tra le preziose carte della Biblioteca dell’Abbazia Benedettina di Cava de’ Tirreni, ritrovò la ricetta delle “palline latine”, che venivano consumate nelle ville romane, disseminate lungo la Costa. Gli antichi Romani impastavano la farina di farro e il latte cagliato e ne ottenevano delle “palline”, che cuocevano in acqua bollente e poi condivano con il “moretum”, una salsa a base di erbe aromatiche, pecorino, sale e olio. Con l’aiuto dello chef Enrico Cosentino Falcone realizzò una nuova ricetta degli ndundari sostituendo la farina di farro e il latte cagliato, con la farina di grano la ricotta, i due aggiunsero l’uovo, il formaggio di vacca grattugiato, sale, pepe e noce moscata… e la salsa di erbe venne sostituita con un ragù fatto con cotiche di maiale, braciole e salsiccia conservata nella sugna..