Maruzze Capresi

Sempre più spesso si sente discutere di nuove frontiere culinarie, di cibo alternativo, perfino di cibo artificiale, coltivato in laboratorio. A farla da padrone sono gli insetti e le larve che, stando agli esperti del settore, rivoluzioneranno le nostre abitudini alimentari e, allo stesso tempo finalmente risolveranno la scarsità di risorse alimentari, non sufficienti a sfamare la popolazione mondiale, in continuo aumento.

Ma non si è inventato nulla! Nelle nostra cultura gastronomica gli insetti hanno sempre avuto un posto. Mai sentito parlare di lumache alla caprese?

In concomitanza dei primi temporali settembrini, appena smesso di piovere, noi bambini ci preparavamo per una uscita notturna che aveva tutto il sapore di una vera e propria avventura.

Il nostro equipaggiamento, povero ma essenziale, consisteva in delle galosce, fondamentali per non bagnarsi i piedi, in un cesto di vimini, dotato di coperchio, ed infine le torce, per illuminare la strada nei giardini umidi e profumati dell’isola di Capri. Si partiva all’imbrunire. Felici di “andare a maruzze”, le chiocciole, o lumache, che dir si voglia, una vera prelibatezza della cucina povera caprese.

Le varietà più comuni erano la zigrinata, la vignaiola, la monacoide (che alla cattura emetteva un suono inconfondibile), la borgognona e la capea hortensis. Una volta scovate, le si raccoglieva con le mani, e le si riponeva delicatamente nel cesto, badando bene a chiudere, per scongiurare possibili fughe. Tornati a casa il prezioso “raccolto” veniva consegnato alla nonna che, grazie alle sue “conoscenze”, le preparava al meglio, trasformando quei timidi molluschi in un piatto degno di un re.

Per prima cosa le lumache venivano messe “a spurgare”, tenendole per 7/8 giorni in una cesta ben areata dopo averle leggermente spolverate di farina.

Dopo questo periodo di dieta forzata le lumache venivano lavate sotto l’acqua corrente, finalmente pronte per essere cucinate.

In un recipiente di coccio veniva preparato un sughetto a base di olio, pomodorini del piennolo, abbondante peperoncino e finocchietto selvatico. In un’altra pentola venivano sbollentate le lumache. Una volta bollite, le lumache venivano sciacquate, quindi venivano “calate” nel recipiente del sughetto, dove venivano lasciate cuocere ancora una ventina di minuti a fuoco lento, per portare il sugo alla giusta consistenza.

Il risultato era una vera leccornia. Le lumache, con abbondante sughetto, venivano adagiate su di un letto di pane vecchio, precedentemente abbrustolito, e gustate estraendole dal guscio una ad una, aiutandosi con un ago da materassaio o con degli stuzzicadenti.

Il banchetto era accompagnato da un buon vinello rosso e terminava con l’immancabile “scarpetta”!!

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